Cemento vivo

Sono a letto, sto cercando sciocchezze e ricordi su internet. All'improvviso una frase mi appare nella mente : mi ricordo all'improvviso un'immagine di Milano, periferia, forse era marzo. Era il 2013, ma sembra ieri.

Quel giorno avevo deciso di prendere il tram in direzione contraria, esplorare, perdermi nel cemento più vivo della città. Un paio di fermate prima del nulla, scendo. Attorno a me sorge un grosso complesso di palazzine aggrovigliate le une alle altre, quasi recenti, quasi belle, tutto sommato. Piccoli sprazzi di verde qua e là, giovani alberelli ancora spogli, forse qualche germoglio ogni tanto. Ero andata lì con un motivo preciso, in fondo :volevo fotografare, documentare, raccontare la città del popolo, non la Milano fighetta ma la Milano più vecchia, più eterogenea e nascosta. Quella della gente che incontravo al mercato del giovedì mattina, un mix di odori e visi che ho bene impresso in mente.
Cammino un po' su e giù per questo complesso di cemento, vivissimo seppure vuoto. Forse è l'orario, un primo pomeriggio con la luce chiara e limpida che regalano le ultime giornate invernali, le prime giornate primaverili, ma in giro non trovo nessuno : cercavo le persone, i ragazzi che giocano a pallone, che si fanno le canne o se ancora non le hanno, che fumano le sigarette come se fosse la più grande trasgressione, la transizione nel mondo dei grandi. E invece nessuno. Mi ritrovo a camminare a naso insù, provo qualche scatto, ma non è il momento, non è giornata. Solo dopo un po' noto alle finestre delle donne, prima una, poi sembrano cento, mille : mi sento scrutata, analizzata perché sanno che non sono di lì. Metto via la macchina fotografica, mi sembra di rubare qualcosa se continuo a passeggiare in quelle viuzze, viottoli pedonali, aree di parcheggio semi vuote - ora me li immagino, i mariti, i compagni, o le mogli, i figli e le figlie, a lavorare per tornare a casa alle 18, alle 19, a mezzanotte. Eppure li anche il cemento è vivo. Anche il cemento racconta la sua storia, ma io non so capirla, non so ascoltarla, rubarla. Cammino ancora un po', con un senso di disagio sempre più forte sulla pelle. Non appartengo a quel posto, io che nemmeno so cosa vuol dire vivere a Milano, io che sono lì da pochi mesi appena. Ma non appartengo a quelle persone, a quella vita. La potrei solo spiare da lontano, e allora preferisco allontanarmi, con rispetto, ora camminando a testa bassa, guardando le nuvole solo quando si riflettono nelle pozzanghere.

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